Ricordo ancora la
mia preoccupazione mentre andavo dal fotografo.
Nel tempo
trascorso dalla consegna del rullino fino a quel giorno, in cui stavo tornando
da lui a ritirare le foto ormai sviluppate, mi ero chiesto se questo scatto
sarebbe stato all’altezza del momento che volevo ricordare.
Perché era quello
il motivo per cui, all’epoca, si scattavano le foto, no? Per aiutare la memoria
a trattenere qualcosa di prezioso. Si sceglieva accuratamente cosa fotografare:
i rullini costavano, così come lo sviluppo. Non potevi vedere subito com’era
venuta la foto, né cancellarla e rifarla cambiando angolazione o smorfia del
viso. Più che sedici anni fa, ahinoi, sembra un’altra vita.
Questa foto ce la
scattò Giuseppe, l’amico che si imbarcò insieme a me nell’avventura di venirti
a sentire sulle montagne avellinesi. Ce ne fece di nascosto altre due, senza
che fossimo in posa: una mentre stavamo chiacchierando e l’altra mentre mi
firmavi il tuo libro. Forse sono anche più belle di questa, che però è sempre
rimasta con me, mentre quelle due sono in qualche scatolone a casa dei miei
genitori.
Era la prima volta
che ti ascoltavo dal vivo.
Prima di farlo
avevo letteralmente consumato i tuoi dischi (all’epoca soltanto due).
Ti
scrissi una lettera a mano (anni dopo
sarebbe diventato il titolo di una tua canzone) indirizzandola alla tua casa
discografica, che stava facendo delle cose bellissime. Qualche mese dopo mi
arrivò la tua risposta. Oddio, perfino le lettere scritte a mano, davvero una
vita fa.
Poi ci evolvemmo,
passammo alle mail. Cercavamo di fare in modo che tu venissi a suonare a Lecce,
o quantomeno in Puglia, perché ancora non ti era successo di farlo. Le cose andarono
diversamente, e infatti ci conoscemmo di persona un annetto dopo, quando ero ormai una matricola universitaria
a Napoli.
Ti avevano
invitata a suonare in provincia di Avellino, in una sorta di garage travestito
da discoteca: era una di quelle feste liceali che si svolgono centro giorni
prima degli esami di maturità.
Che avventura
arrivarci: in pullman da Napoli ad Avellino e con l’autostop (sì, l’autostop!) fino
a Lacedonia.
Ad offrirci un
passaggio fu il tipo che, dopo il tuo live, avrebbe fatto da deejay (o forse
all’epoca si diceva ancora disck jockey?) e con il quale, durante la
serata, litigai pure.
Successe quando alcuni ragazzi del pubblico si mostrarono
insofferenti alla seconda metà del tuo live, ansiosi di ballare. Anche il
deejay fremeva per mettere i dischi e mentre io, temerario, armato di
striscione (oddio, ma davvero?) invitavo tutti al silenzio perché volevo
ascoltarti, lui, con disprezzo e pentimento mi disse in dialetto qualcosa che,
pur indicandomi, sembrava stesse rivolgendo a se stesso: “E dire che a sto
stronzo il passaggio per arrivare qui gliel’ho dato io!”.
Ci sarebbero stati
altri tuoi dischi, avrei assistito a tanti altri tuoi concerti, e in Puglia
saresti poi venuta a suonare senza troppi problemi. La tua voce e la tua
musica, già bellissime, lo sarebbero incredibilmente
diventate ancora di più. Io, anche per merito tuo, lentamente avrei trovato il
coraggio di cantare, qualche volta, fuori dalla mia cameretta da fuori sede (ormai
diventato anche fuori corso).
E, nell’oltrepassare la soglia di quella
stanzetta, mi sarei presentato prendendo in prestito il titolo di una delle tue
canzoni più belle, chiedendole la cortesia di starmi accanto e farmi sentire poco poco più sicuro.
Siamo meglio oggi,
rispetto a questa foto? Io sicuramente sì. Stavo al primo anno dell’Orientale
e, ahimè, si vedeva eccome. Oltre alle bretelle rosse di quello zaino
fricchettone, sulle spalle avevo ben altri pesi che nel frattempo, poco alla volta, avrei fatto scivolare per strada.
Ne abbiamo altre
di foto insieme, in cui entrambi siamo più fighi. Ma vuoi mettere questa, con l’ansia
e la gioia della prima volta? Credo tu avessi la mia età attuale, mentre oggi,
cara cuspide nata in giorno di equinozio,
ne compi cinquanta. Auguri!