venerdì 21 gennaio 2022

Buon Compleanno, Cat Power!


 

Canzoni tragiche cantate con una voce calda e dolcissima: a costo di semplificare, si  potrebbe riassumere così la produzione musicale di Cat Power, che compie oggi 50 anni.

 

Ragazza dal passato nomade e doloroso, esordisce all’interno della scena alternativa newyorkese negli anni 90, grazie all’incontro con Steve Shelley, batterista dei Sonic Youth, che la incoraggia a registrare le sue canzoni e suona nei suoi primi due album.

Il suo stile, inizialmente scarno e minimalista, viene messo a fuoco con “Moon pix” del ’98 (uno dei suoi dischi più acclamati insieme a “The Greatest” del 2006), ma continuerà a modificarsi negli anni, divenendo country, soul e soprattutto blues, fino a mischiarsi recentemente con l’elettronica.

 

Oltre che per il suo timbro inconfondibile e le cover in cui stravolge successi altrui, Cat Power è famosa per le bizzarre, imprevedibili e criticate esibizioni live.

Un po’ per la sua difficoltà a gestire l’ansia da palcoscenico e un po’ per i suoi passati problemi di dipendenza dall’alcol, i suoi concerti, spesso misteriosamente interrotti, o caratterizzati da scalette del tutto sfilacciate (con canzoni eseguite a metà o mescolate caoticamente l’una all’altra) sono diventati una prova del nove per i suoi fans, che si sono divisi tra chi l’ha rinnegata, accusandola di non essere professionale, e chi l’ha amata ancora di più per il coraggio con cui porta sul palco la sua vulnerabilità.

 

Tra allontanamenti dalle scene per crolli psicofisici e incursioni nel mainstrem (è stata testimonial per Chanel e ha avuto un cameo in “Un bacio romantico” di Wong Kar-wai), il passato recente l’ha vista diventare mamma, ricevere un omaggio da Dave Gahan (che ha riletto la sua “Metal heart”) e ritornare, dopo sbandate verso sonorità per lei insolite, ai suoni caldi e analogici che l’hanno resa famosa.

 

La settimana scorsa è uscito il suo terzo album di cover, che si chiude con una rilettura tenera e straziante di “I’ll be seeing you”, resa famosa da Billie Holiday, Frank Sinatra e gente di questo calibro. Inoltre, questo nuovo album contiene una buona notizia.

Imprevedibile com’è,  in un disco di tributi Cat Power coverizza anche se stessa, prendendo una canzone autografa in cui parlava di autodistruzione, “Hate” e le cambia il titolo in “Unhate”.

A questo proposito ha recentemente detto in un’intervista: “È una canzone che ho scritto in un brutto periodo e mi ha sempre messo ansia, volevo e dovevo rimediare. Ho iniziato a pensarci quando ho scoperto di essere incinta: a quel punto c’era un’anima che cresceva dentro di me, nella mia pancia. Non potevo più esimermi dal confronto con quel brano che ho poi tramutato in Unhate per non guardarmi più indietro, per dire a me stessa che il dolore si può sempre superare, per dare speranza”.

 

https://www.youtube.com/watch?v=6IRxf4Ll5EE

 

mercoledì 12 gennaio 2022

Tra le favole in mutande

 




Il 12 Gennaio del 1989 ci lasciava colui che “girava tra le favole in mutande”: Franco Fanigliulo, figura anomala della canzone italiana, cantautore ironico e malinconico differente da tutti i suoi colleghi.
La sua produzione non ottenne l’attenzione che meritava e non é stata riscoperta neppure nei trent’anni trascorsi dalla sua morte, avvenuta all’improvviso quand’era poco più che quarantenne.
Ex marinaio, esordì al cinema insieme a Benigni, interpretando degli stralci di sue canzoni in “Berlinguer ti voglio bene” di Bertolucci. Approdò al modo discografico nella seconda metà degli anni settanta grazie a Caterina Caselli, che che produsse i suoi primi tre album e che nello stesso periodo fece conoscere al pubblico anche Faust’O e Pierangelo Bertoli.
Dopo un ep pubblicato con la “Numero uno” di Battisti, si allontanò dalle scene, ritirandosi in campagna per dedicarsi all’allevamento degli animali, procurandosi così l’appellativo di “poeta contadino”.
Alla fine degli anni ottanta pubblicò un singolo con l’etichetta di Vasco Rossi, collaborò con Zucchero, scrisse un libro di fiabe che Mondadori avrebbe dovuto pubblicare e stava lavorando ad un nuovo disco, che poi, su volontà dei due colleghi e amici, fu pubblicato postumo e parzialmente incompleto, con alcuni brani privi delle tracce vocali.
Chi non lo conosce può cominciare proprio dall’unica sua canzone che, grazie al Festival di Sanremo del 1979, ebbe maggiore eco.
Complice il fatto che nell’edizione precedente il pubblico aveva apprezzato personaggi nuovi e anticonvenzionali (Rino Gaetano e Anna Oxa), quell’anno nel cast trovarono posto due figure aliene del cantautorato italiano: Enzo Carella, che presentò “Barbara” (consigliatissima la visione della sua irriverente esibizione, accompagnata da quattro ballerine sandwich) e Fanigliulo con “A me mi piace vivere alla grande”.
Questo brano presenta bene la poliedricità dell’autore, il suo giocare col col nonsense, indietreggiando un attimo prima di oltrepassare la soglia. Ironia e fascinazione per il cabaret sono messi in risalto dall’arrangiamento e dall’interpretazione vocale, che a tratti paiono voler deridere un’aria d’opera.
Basti pensare che l’incipit è affidato alla frase “Guglielmo ha un reggipetto che se lo mette spesso nel cuore della notte come se fosse adesso”.
Per tenere buono il pubblico benpensante non fu sufficiente convertire “foglie di cocaina” in “bagni di candeggina”. Ci fu infatti un altro verso della canzone che suscitò polemiche: “Adesso che Gesù ha un clan di menestrelli che parte dai blue-jeans e arriva a Zeffirelli”. E sebbene Fanigliulo alludesse al regista del film “Gesù di Nazareth” e alla griffe di jeans “Jesus” (che qualche anno prima aveva dato scandalo a causa della campagna promozionale curata da Oliviero Toscani) qualcuno lo accusò di vilipendio alla religione cristiana.
Infine, vedendo il video dell’esibizione, non si può non amarne l’enfasi comunicativa, la capacità di interpretare il brano con tutto il corpo, con una mimica e una gestualità dosate al punto giusto e mai eccessive. Non è un caso che, a chi lo rimproverava di essere artefatto lui rispondesse: “Non sono bugiardo, ho solo fantasia”.
Geniale a sua insaputa, con dieci anni d’anticipo predisse la propria morte nel verso “Ho un nano nel cervello, un ictus cerebrale”: proprio quello che nell’89 se lo portò via a 44 anni.