mercoledì 24 gennaio 2018

Salutarsi è una dolce pena



Quasi tutti abbiamo una vicina di casa vrenzola, e chi non ce l’ha, non sa cosa si perde.
La mia è sotto i cinquanta, bionda tinta, ma probabilmente ex bionda naturale, madre di due adolescenti o quasi. Le vie di internet sono infinite e, temendo che possa finire su questo blog, un po’ come io mi sono imbattuto sul suo profilo Facebook, le attribuirò un nome di fantasia: Patrizia.
Sarebbe anche una bella donna, se non avesse costantemente stampata in faccia l’espressione di un cane rabbioso. Ma non potrebbe essere diversamente, visto che, di fatto, è sempre incazzata con qualcuno. Gli insulti che rivolge al marito raggiungono per sbaglio anche me, che ammiro i suoni graffiati con cui vengono pronunciati. La sento urlare parolacce ai figli e vengo percosso dalle  bellissime frequenze basse presenti in quella sua voce che farebbe invidia a Raiz.

Abito ormai da sei anni in questo vico e poco alla volta, pur essendo forestiero, sono riuscito a stabilire delle interazioni superficiali ma educate con buona parte del vicinato.
Alcuni mi chiamano per nome. Altri, d’accordo con Gianni Rodari sul fatto che ci sia una scuola grande come il mondo, mi chiamano ‘o studente. C’è addirittura una signora che mi chiede Come va la scuola?. All’inizio mi metteva in crisi, ero incapace di capire a quale scuola si riferisse, finché non ho inteso che quella sua domanda era un modo, del tutto personale, di chiedermi come andasse la vita, in generale: da allora rispondo serenamente di conseguenza.

Com’è noto però, i vicini di casa ce li sceglie il karma e poiché sono ancora nel Samsara (non quello di Gallipoli), con la mia dirimpettaia vrenzola, nonostante i numerosi tentativi, ho fallito.
Sono all’antica, da piccolo mi hanno insegnato che il saluto non si toglie manco ai cani, o è di dio, o una cosa del genere. E infatti un tempo la salutavo. Lei rispondeva irrigidendo la mascella o sospirando, manifestando l’insofferenza di chi si sente obbligato a salutarti suo malgrado.
Fin qui niente di male: so che è incazzata con l’umanità intera, categoria alla quale appartengo.
Le cose sono peggiorate quando una scala a chiocciola le ha permesso di raggiungere il terrazzo che sovrasta il suo basso, proprio di fronte al mio balcone, dandoci la possibilità di vederci molto più spesso.
Da quel momento in poi ha cominciato a rispondermi una volta sì e tre no. Per ogni suo “Buongiorno/Buonasera” bofonchiato in risposta al mio, c’erano da contare tre episodi in cui, a scelta:

a)il rumore provocato dai denti della scopa, da lei sfregata con stizza al suolo, era più forte del suono della  mia voce;
b)era concentrata sulla molletta con la quale stendeva il bucato, per evitare che le sfuggisse di mano;
c)mi fissava il tuppo con sguardo smarrito, quasi strabico, come se non riuscisse a mettermi realmente a fuoco: forse mi guardava l’aura.

È difficile relazionarsi all’altro, si sa, bisogna fare dei compromessi, ed io ero ben disposto a contare i suoi tre rifiuti. Anzi, quest’iter mi aiutava ad attribuire il giusto valore alla sua risposta: la desideravo maggiormente senza mai darla per scontata. Patrizia sapeva fin troppo bene che la prima regola è “Farsi desiderare”, e ha avuto il coltello dalla parte del manico.
Ho cominciato a fare fatica quando, prima ancora che potessi salutarla, abbassava preventivamente lo sguardo, girandomi la faccia, rendendo perfino inutile che pronunciassi il mio “Buongiorno/Buonasera”. Non capivo se tale episodio andasse numerato fra i tre rifiuti o se, al contrario, era un evento sporadico, fuori dal regolamento della nostra relazione.
Insomma, ho cominciato a perdere il conto, a fare fatica.
Patrizia è stata più brava di tanti amori platonici e di molte relazioni tossiche. Mi ha insegnato una lezione importante laddove i suoi predecessori mi avevano lasciato solo dolore: ci vuole feedback, collaborazione, reciprocità, le cose si fanno in due, l’incontro tra la propria complessità e quella altrui è possibile solo se ci si dà appuntamento a metà strada.
Salutarla in maniera incondizionata è stato un errore perfetto, e se avessi ascoltato il cuore avrei continuato a farlo in eterno, senza mai pretendere nulla in cambio.
Invece, inaspettatamente, un giorno ho ascoltato la ragione. E ho smesso.

Stamattina, mentre uscivo da casa ancora assonnato e sovrappensiero, fissavo un punto a caso del suo cancello aperto. Patrizia era alla mia sinistra, mi guardava a mia insaputa, e mi ha ferito al cuore con uno scanditissimo “Buongiorno!”, inaspettato, manco a farla apposta, come un giorno di sole a gennaio. In preda all’emozione dell’imprevisto, le ho risposto con un misto di trasposto e di imbarazzo, forse con eccessiva enfasi, e per un attimo i nostri occhi si sono sfiorati.
Ho pensato che, a partire da quel momento, la giornata poteva prendere una piega del tutto inaspettata, accogliendo imprevisti di ogni sorta: avrei potuto vincere un gratta e vinci, se solo avessi deciso di giocarlo, mi avrebbe telefonato qualcuno che mi ha spezzato il cuore, fingendo sulle prime di aver sbagliato numero, oppure avrei trovato venti euro per terra nell’attimo esatto in cui mi sarei guardate le scarpe per assicurarmi che fossero allacciate.

Dovrei pensare a tante cose stamattina, e invece non mi do pace, chiedendomi per quale motivo Patrizia abbia preso l’iniziativa di rivolgermi il suo saluto, senza limitarsi a guardarmi, dimostrandosi disponibile a ricevere il mio, come ai vecchi tempi.
Sarà che il valore delle cose lo capiamo solo quando non ce le abbiamo più, e che la prima regola di una relazione, “Farsi desiderare”, che lei conosce così bene, le si è ritorta contro?
Forse i buoni propositi per l’anno nuovo (ad esempio “essere gentili coi vicini”), in alcuni casi riusciamo a portarli avanti fino alla fine di gennaio? Il saluto ti Patrizia era solo un innocuo scherzo di Carnevale, legittimato dalla data in cui ormai si trova oggi il calendario?
Mi porterò questo interrogativo nella tomba.
Ma finché sono vivo e nel Samsara, visto che morirò studente e vado a scuola, dedico a Patrizia questa frase di Shakespeare: “Salutarsi è una pena così dolce che ti direi addio fino a domani”.