Quasi
tutti abbiamo una vicina di casa vrenzola,
e chi non ce l’ha, non sa cosa si perde.
La
mia è sotto i cinquanta, bionda tinta, ma probabilmente ex bionda naturale,
madre di due adolescenti o quasi. Le vie
di internet sono infinite e, temendo che possa finire su questo blog, un po’
come io mi sono imbattuto sul suo profilo Facebook, le attribuirò un nome di
fantasia: Patrizia.
Sarebbe
anche una bella donna, se non avesse costantemente stampata in faccia
l’espressione di un cane rabbioso. Ma non potrebbe essere diversamente, visto
che, di fatto, è sempre incazzata con qualcuno. Gli insulti che rivolge al
marito raggiungono per sbaglio anche me, che ammiro i suoni graffiati con cui
vengono pronunciati. La sento urlare parolacce ai figli e vengo percosso dalle bellissime frequenze basse presenti in quella
sua voce che farebbe invidia a Raiz.
Abito
ormai da sei anni in questo vico e poco alla volta, pur essendo forestiero, sono riuscito a stabilire
delle interazioni superficiali ma educate con buona parte del vicinato.
Alcuni
mi chiamano per nome. Altri, d’accordo con Gianni Rodari sul fatto che ci sia
una scuola grande come il mondo, mi chiamano ‘o studente. C’è addirittura una signora che mi chiede Come va la scuola?. All’inizio mi metteva
in crisi, ero incapace di capire a quale scuola si riferisse, finché non ho
inteso che quella sua domanda era un modo, del tutto personale, di chiedermi
come andasse la vita, in generale: da allora rispondo serenamente di
conseguenza.
Com’è
noto però, i vicini di casa ce li sceglie il karma e poiché sono ancora nel
Samsara (non quello di Gallipoli), con la mia dirimpettaia vrenzola, nonostante
i numerosi tentativi, ho fallito.
Sono
all’antica, da piccolo mi hanno insegnato che il saluto non si toglie manco ai cani,
o è di dio, o una cosa del genere. E infatti un tempo la salutavo. Lei
rispondeva irrigidendo la mascella o sospirando, manifestando l’insofferenza di
chi si sente obbligato a salutarti suo malgrado.
Fin
qui niente di male: so che è incazzata con l’umanità intera, categoria alla
quale appartengo.
Le
cose sono peggiorate quando una scala a chiocciola le ha permesso di
raggiungere il terrazzo che sovrasta il suo basso, proprio di fronte al mio
balcone, dandoci la possibilità di vederci molto più spesso.
Da
quel momento in poi ha cominciato a rispondermi una volta sì e tre no. Per ogni
suo “Buongiorno/Buonasera” bofonchiato in risposta al mio, c’erano da contare
tre episodi in cui, a scelta:
a)il rumore provocato dai denti della scopa, da
lei sfregata con stizza al suolo, era più forte del suono della mia voce;
b)era
concentrata sulla molletta con la quale stendeva il bucato, per evitare che le
sfuggisse di mano;
c)mi fissava il tuppo con sguardo smarrito,
quasi strabico, come se non riuscisse a mettermi realmente a fuoco: forse mi
guardava l’aura.
È
difficile relazionarsi all’altro, si sa, bisogna fare dei compromessi, ed
io ero ben disposto a contare i suoi tre rifiuti. Anzi, quest’iter mi aiutava
ad attribuire il giusto valore alla sua risposta: la desideravo maggiormente
senza mai darla per scontata. Patrizia sapeva fin troppo bene che la prima
regola è “Farsi desiderare”, e ha avuto il coltello dalla parte del manico.
Ho
cominciato a fare fatica quando, prima ancora che potessi salutarla, abbassava
preventivamente lo sguardo, girandomi la faccia, rendendo perfino inutile che
pronunciassi il mio “Buongiorno/Buonasera”. Non capivo se tale episodio andasse
numerato fra i tre rifiuti o se, al contrario, era un evento sporadico, fuori
dal regolamento della nostra relazione.
Insomma,
ho cominciato a perdere il conto, a fare fatica.
Patrizia
è stata più brava di tanti amori platonici e di molte relazioni tossiche. Mi ha
insegnato una lezione importante laddove i suoi predecessori mi avevano
lasciato solo dolore: ci vuole feedback, collaborazione, reciprocità, le cose
si fanno in due, l’incontro tra la propria complessità e quella altrui è
possibile solo se ci si dà appuntamento a metà strada.
Salutarla
in maniera incondizionata è stato un errore perfetto, e se avessi ascoltato il
cuore avrei continuato a farlo in eterno, senza mai pretendere nulla in cambio.
Invece,
inaspettatamente, un giorno ho ascoltato la ragione. E ho smesso.
Stamattina,
mentre uscivo da casa ancora assonnato e sovrappensiero, fissavo un punto a
caso del suo cancello aperto. Patrizia era alla mia sinistra, mi guardava a mia
insaputa, e mi ha ferito al cuore con uno scanditissimo “Buongiorno!”,
inaspettato, manco a farla apposta, come un giorno di sole a gennaio. In preda
all’emozione dell’imprevisto, le ho risposto con un misto di trasposto e di
imbarazzo, forse con eccessiva enfasi, e per un attimo i nostri occhi si sono sfiorati.
Ho
pensato che, a partire da quel momento, la giornata poteva prendere una piega
del tutto inaspettata, accogliendo imprevisti di ogni sorta: avrei potuto vincere
un gratta e vinci, se solo avessi deciso di giocarlo, mi avrebbe telefonato
qualcuno che mi ha spezzato il cuore, fingendo sulle prime di aver sbagliato
numero, oppure avrei trovato venti euro per terra nell’attimo esatto in cui mi
sarei guardate le scarpe per assicurarmi che fossero allacciate.
Dovrei
pensare a tante cose stamattina, e invece non mi do pace, chiedendomi per quale
motivo Patrizia abbia preso l’iniziativa di rivolgermi il suo saluto, senza
limitarsi a guardarmi, dimostrandosi disponibile a ricevere il mio, come ai vecchi
tempi.
Sarà
che il valore delle cose lo capiamo solo quando non ce le abbiamo più, e che la
prima regola di una relazione, “Farsi desiderare”, che lei conosce così bene, le
si è ritorta contro?
Forse
i buoni propositi per l’anno nuovo (ad esempio “essere gentili coi vicini”),
in alcuni casi riusciamo a portarli avanti fino alla fine di gennaio? Il saluto
ti Patrizia era solo un innocuo scherzo di Carnevale, legittimato dalla
data in cui ormai si trova oggi il calendario?
Mi
porterò questo interrogativo nella tomba.
Ma
finché sono vivo e nel Samsara, visto che morirò studente e vado a scuola, dedico
a Patrizia questa frase di Shakespeare: “Salutarsi
è una pena così dolce che ti direi addio fino a
domani”.