Ho
creduto alle fragole a alle favole, alle fate e agli orchi.
Da
qualche parte ho ancora conservato l’articolo di Francesco Alberoni, pubblicato
da Il Corriere, che in prima media la
mia amata insegnante di lettere ci portò fotocopiato: Il rischio che si corre a non sognare. Anzi, non da qualche parte:
ora che ci penso, so benissimo dove sta.
A
lungo sono stato in silenzio, seduto sul bagnasciuga, a sentire l’onda arrivare
e ripartire, in una culla senza inizio e senza fine. Quante volte mi sono
commosso guardando il tramonto, ascoltando Imagine,
Redemption song, Over the rainbow?
Quante
altre ho smarrito i confini della mia identità per poi ricomporli sulle note di
Todo cambia? “Cambia il passo del
viandante, anche se poi si perderà. Tutto cambia a mano a mano, che anch’io
cambi non è strano”.
È stato bello pensare che il cambiamento fosse un processo
naturale, perfino liberatorio, che “Tutti quei bulbi, baccelli, antenne, pinne,
trachee, piumaggi nuziali e pelame invernale testimoniassero i ritardi dello
svogliato lavoro della morte”.
Cazzo
però! Fragole, insegnanti delle medie, tramonti e baccelli… Possibile che, tra
tanti interlocutori, a nessuno sia venuto in mente di avvertirmi che, smettendo
di fumare, avrei smesso anche di dormire?