domenica 10 maggio 2020

Una cassa di te (senza accento)



“Poco prima che il nostro amore finisse, mi hai detto“Sono stabile come una stella polare”.
Ed io ho risposto: “Sempre nell'oscurità, come si fa a trovarla?”.
Comincia con questi versi una delle più belle canzoni sull’amore che continua dopo la separazione.
“A case of you”, questo il titolo, è la penultima traccia di “Blue” di Joni Mitchell, il suo album capolavoro che l’anno prossimo compirà cinquant’anni.
Una canzone delicatissima, in cui è difficile capire dove finisca la bellezza e dove cominici il dolore, a tratti perfino buffa, come quando il testo nomina il paese natale della sua autrice (il Canada) e lei ne approfitta per intonare un frammento dell’inno nazionale.
In un concerto londinese, eseguendo “A case of you” da sola, accompagnandosi col dulcimer, pare che Joni abbia introdotto la canzone dicendo: “Parla del primo rossore dell'amore, ma considerato dopo che l'infatuazione è passata e il romanticismo si è sbriciolato”.
Si dice che sia rimasta con gli occhi chiusi dopo averne terminato l’esecuzione.
Tali dichiarazioni ci fanno ascoltare diversamente perfino il bellissimo ritornello:

“Sei nel mio sangue come vino sacro
Sai di amaro e di dolce
Oh, potrei bere una cassa intera di te, mio caro
E continuerei a reggermi sulle mie gambe”

La metafora alcolica è perfetta per parlare di un amore di cui, sebbene ci stordisca, non ne abbiamo mai abbastanza. Eppure, se di una relazione si parla al passato, quella che apparentemente suona come una promessa cieca di devozione, si capovolge nel suo significato: i versi stanno dicendo che la passione si è fermata prima di trasformarsi in veleno, senza mettere in ginocchio l’individualità e l’amor proprio.
Come si fa a parlare bene e male della stessa cosa contemporaneamente, con toni poetici ma restando ancorati all’amara verità? Anni dopo, ripensando a quando  ha scritto e inciso l’album “Blue”, Joni Mitchell disse: “Nella mia voce non c’era neanche una nota disonesta. In quel momento della mia vita non avevo alcun tipo di difesa personale. Mi sentivo come il cellophane attorno a un pacchetto di sigarette. Mi sembrava di mostrare al mondo ogni mio segreto e non riuscivo a fingere di essere forte. O di essere felice. Il vantaggio fu che anche nella musica non c’erano difese”.

A lungo ci si è chiesto per chi abbia scritto “A case of you”, e tra gli indiziati ci sono nomi illustri, da James Taylor (che nella versione in studio suonava la chitarra acustica) fino ad arrivare a Leonard Cohen. Ma l’indiziato numero uno resta Graham Nash.
Lui, per stare con Joni, aveva lasciato la sua prima moglie, e aveva cambiato continente, trasferendosi in America dall’inghilterra. Ma i pettegolezzi sull’identità della musa ispiratrice perdono di’importanza quando, dopo il primo ritornello, Joni canta uno strano verso: “Sono terrorizzata del demonio e sono attratta da quelli che non ne hanno paura”.

In questi decenni hanno reinterpretato “A case of you” diversi artisti con la a maiuscola, compresi Prince e Tori Amos, giusto per citarne un paio. Ma, a parte l’originale, la mia versione preferita è quella di Salvador Sobral, in un suo disco live di pochi anni fa: privato della sequenza armonica introduttiva che l’aveva reso inconfondibile, il brano è strumentalmente ridotto all’osso, affidato a un minimalissimo pianoforte da lui stesso suonato.
Questo folletto portoghese, che si nasconde dietro i capelli e dentro una giacca che gli va evidentemente troppo grande, fino a farlo sembrare uno spaventapasseri, nella terza strofa, dopo aver cantato: “Ricordo la volta che mi hai detto “Amare è toccarsi l’anima”, per un attimo soltanto alza la voce.
E non in un punto a caso, ma prima di dire: “Di sicuro tu hai toccato la mia”: l’unica frase sicura  in un testo straziante.

Ci sono diverse immagini poetiche in questo brano, ma quella che amo maggiormente è la più semplice in assoluto. Torniamo all’inzio. Lui, che si chiami Graham, Leonard o James, prima che il loro amore finisca si definisce stabile come la stella polare. E come risponde, quando lei lo provoca, accusandolo di stare sempre nell’oscurità, chiedendo come sia possibile trovarlo?
Risponde così, con una frase semplice e bellissima: “Se mi vuoi, mi trovi al bar”.
Come se l’umanità fosse un minuscolo paese di provincia, con un’unica piazza e un solo bar.
Rilke diceva che l’eterno parla a bassa voce col quotidiano, o viceversa, non mi ricordo.  Di sicuro il tragitto che li separa è brevissimo.


https://www.youtube.com/watch?v=e5JnWhEqq1s