“Poco
prima che il nostro amore finisse, mi hai detto“Sono stabile come una stella
polare”.
Ed
io ho risposto: “Sempre nell'oscurità, come si fa a trovarla?”.
Comincia
con questi versi una delle più belle canzoni sull’amore che continua dopo la
separazione.
“A
case of you”, questo il titolo, è la penultima traccia di “Blue” di Joni
Mitchell, il suo album capolavoro che l’anno prossimo compirà cinquant’anni.
Una
canzone delicatissima, in cui è difficile capire dove finisca la bellezza e
dove cominici il dolore, a tratti perfino buffa, come quando il testo nomina il
paese natale della sua autrice (il Canada) e lei ne approfitta per intonare un frammento
dell’inno nazionale.
In
un concerto londinese, eseguendo “A case of you” da sola, accompagnandosi col dulcimer,
pare che Joni abbia introdotto la canzone dicendo: “Parla del primo rossore
dell'amore, ma considerato dopo che l'infatuazione è passata e il romanticismo
si è sbriciolato”.
Si
dice che sia rimasta con gli occhi chiusi dopo averne terminato l’esecuzione.
Tali
dichiarazioni ci fanno ascoltare diversamente perfino il bellissimo ritornello:
“Sei
nel mio sangue come vino sacro
Sai
di amaro e di dolce
Oh,
potrei bere una cassa intera di te, mio caro
E
continuerei a reggermi sulle mie gambe”
La
metafora alcolica è perfetta per parlare di un amore di cui, sebbene ci
stordisca, non ne abbiamo mai abbastanza. Eppure, se di una relazione si parla
al passato, quella che apparentemente suona come una promessa cieca di
devozione, si capovolge nel suo significato: i versi stanno dicendo che la
passione si è fermata prima di trasformarsi in veleno, senza mettere in
ginocchio l’individualità e l’amor proprio.
Come
si fa a parlare bene e male della stessa cosa contemporaneamente, con toni poetici
ma restando ancorati all’amara verità? Anni dopo, ripensando a quando ha scritto e inciso l’album “Blue”, Joni Mitchell
disse: “Nella mia voce non c’era neanche una nota disonesta. In quel momento
della mia vita non avevo alcun tipo di difesa personale. Mi sentivo come il
cellophane attorno a un pacchetto di sigarette. Mi sembrava di mostrare al
mondo ogni mio segreto e non riuscivo a fingere di essere forte. O di essere
felice. Il vantaggio fu che anche nella musica non c’erano difese”.
A
lungo ci si è chiesto per chi abbia scritto “A case of you”, e tra gli
indiziati ci sono nomi illustri, da James Taylor (che nella versione in studio suonava
la chitarra acustica) fino ad arrivare a Leonard Cohen. Ma l’indiziato numero
uno resta Graham Nash.
Lui,
per stare con Joni, aveva lasciato la sua prima moglie, e aveva cambiato
continente, trasferendosi in America dall’inghilterra. Ma i pettegolezzi sull’identità della musa ispiratrice perdono
di’importanza quando, dopo il primo ritornello, Joni canta uno strano verso: “Sono
terrorizzata del demonio e sono attratta da quelli che non ne hanno paura”.
In questi decenni hanno reinterpretato “A
case of you” diversi artisti con la a maiuscola, compresi Prince e Tori Amos,
giusto per citarne un paio. Ma, a parte l’originale, la mia versione preferita
è quella di Salvador Sobral, in un suo disco live di pochi anni fa: privato
della sequenza armonica introduttiva che l’aveva reso inconfondibile, il brano
è strumentalmente ridotto all’osso, affidato a un minimalissimo pianoforte da
lui stesso suonato.
Questo folletto portoghese, che si nasconde
dietro i capelli e dentro una giacca che gli va evidentemente troppo grande,
fino a farlo sembrare uno spaventapasseri, nella terza strofa, dopo aver
cantato: “Ricordo la volta che mi hai detto “Amare è toccarsi l’anima”, per un attimo soltanto alza la voce.
E non in un punto a caso, ma prima di dire: “Di
sicuro tu hai toccato la mia”: l’unica frase sicura in un testo straziante.
Ci sono diverse immagini poetiche in questo
brano, ma quella che amo maggiormente è la più semplice in assoluto. Torniamo
all’inzio. Lui, che si chiami Graham, Leonard o James, prima che il loro amore
finisca si definisce stabile come la stella polare. E come risponde, quando lei
lo provoca, accusandolo di stare sempre nell’oscurità, chiedendo come sia
possibile trovarlo?
Risponde così, con una frase semplice e
bellissima: “Se mi vuoi, mi trovi al bar”.
Come se l’umanità fosse un minuscolo paese di
provincia, con un’unica piazza e un solo bar.
Rilke diceva che l’eterno parla a bassa voce
col quotidiano, o viceversa, non mi ricordo. Di sicuro il tragitto che li separa è
brevissimo.
https://www.youtube.com/watch?v=e5JnWhEqq1s