giovedì 19 luglio 2018

Vento scroccone


Se non si esagera nel farlo, prendersi in giro da soli può essere una cosa divertente. 
La pancia parla a bassa voce: sta a te decidere se fare orecchio da mercante o no.
E se, tra un’ambulanza, un clacson, e il suono di una notifica che non capisci se è arrivata a te o a chi ti sta accanto, la pancia ti dice che è meglio se tu e il tuo stato d’animo scomodo restate soli, perché solo così potrete guardarvi negli occhi, forse dovresti starla a sentire. 
E invece non ti assumi neanche la responsabilità di rifiutare il consiglio e fare di testa tua, fai vigliaccamente finta di non aver sentito.

Cerco due tra i miei confidenti di fiducia.
Di quelli che ti fanno parlare prima, raccolgono i dati e poi li analizzano insieme a te. Con le persone che tirano fuori dal cilindro soluzioni miracolose preferisco parlare di tutto il resto: il caldo, l’umidità, eccetera. Che almeno le loro intuizioni pazzesche servano per cose pratiche, terrene.
Alla prima confidente chiedo quando posso telefonarle, perché vive in un'altra città. 
Al secondo chiedo se possiamo vederci per un caffè. Con pippone sciolto dentro, a tradimento? No, no, dico a entrambi la verità: “Ho bisogno di parlarti”.
Nessuno dei due risponde, dice di essere impegnato o rilancia con un altro giorno e un altro orario. Silenzio assoluto, anche dopo ore. Che la voce della mia pancia siano riusciti a sentirla loro, da fuori? Che gli abbia detto “Lasciatelo solo, che male non gli fa”?

In assenza dei confidenti di fiducia, vado al bar di fiducia.
Saluti e convenevoli col caposala.
-Fuori o dentro?  
-Fuori, grazie.
Scelgo quale, tra i tavoli fuori. Chiedo un’acqua frizzante, poso lo zaino sulla sedia, entro in bagno a togliermi un po’ di sudore dalla fronte.
Quando torno fuori l’acqua è sul tavolo ma ci sono due bicchieri. Il caposala non ha visto che ero solo? Non ho mica detto di aspettare qualcuno. Sarà stata questa cameriera nuova, in prova? Avrà visto lo zaino e pensato a due persone, di cui una in bagno e l’altra al telefono, in disparte? Forse hanno portato due bicchieri perché questo stato d’animo che mi scarrozzo appresso è così ingombrante che lo vedono anche gli altri.
Fa caldissimo e tira vento. Chiedo una coppetta pistacchio e cioccolato, magari mi rinfresco. La ragazza nuova me la porta, con un misero tovagliolino che serve  a ben poco ora che il vento soffia sul gelato e lo scioglie, facendomelo colare sulle dita. Cerco il punto da cui precipita, oltre il bordo della coppa, per poter intervenire col cucchiaino, ma non basta: il gelato mi schizzichea su tutta la mano sinistra, corre veloce fino al polso.
Mi sembra una metafora della mia quotidianità: c’è qualcosa che eccede, che straborda pretendendo attenzione ma io non capisco dov’è che s’è rotto l’argine, dove contenere.
Mi innervosisco  e vado di lingua. La ragazza nuova mi guarda vagamente perplessa, si starà chiedendo che senso ha chiedere la coppetta se poi la mangi come se fosse un cono.
Con le dita azzeccose, che mi scoccio di andare di nuovo in bagno, mi accendo una sigaretta, ma in realtà la offro a questo vento scroccone: alerniamo un tiro lunghissimo lui e uno corto corto io, manco venti secondi e spengo il mozzicone.

Mi guardo intorno. Tre coppie, una famiglia e altri due solitari: una mia coetanea con fronte corrugata che picchietta la cannuccia sul bordo del bicchiere, un signore che guarda qualcosa a terra, forse uno scontrino che rotola, mosso dal vento scroccone.
Quasi quasi chiedo loro di metterci tutti e tre allo stesso tavolo, come fanno certe mamme che escono col figlio appresso. Potremmo far sedere i nostri stati d’animo vicini e imporgli di giocare tra loro anche se si sono appena conosciuti. Così noi, per un attimo, possiamo sospirare e lamentarci di quanto sia difficile essere genitori.
Niente. A distanza di pochi secondi il signore si alza e la mia coetanea chiede il conto.
Aveva ragione la pancia: niente incontri cumulativi, devo restare ancora un po’ solo soletto cone lui, questo stato d’animo ingombrante. Ora gli verso un po’ d’acqua nel suo bicchiere, che non abbiamo abbastanza confidenza per bere dallo stesso.
E finalmente lo guardo negli occhi.

mercoledì 4 luglio 2018

Due caffè



È tardi, esco senza aver fatto colazione.
Il primo caffè fa cilecca e non mi sveglia, nonostante si faccia aiutare da un tg sparato a tutto volume e da un gruppetto di persone che, commentandolo, mi costringono a conoscere la loro opinione sul nuovo governo. 

Ci riprovo pochi passi dopo, pochi metri più avanti. Il primo scossone dal sonno me lo danno l'alta temperatura della tazza e il senso di colpa negli occhi del barista, scordatosi della mia richiesta di tazza fredda.
In questo bar si parla dei mondiali. E con che enfasi, che trasporto, che volume, son passati pochi minuti dalle otto e siete tutti già così pimpanti, beati voi, ditemi come avete fatto.
A svegliarmi definitivamente è il suono della mia risata: "Se il Napoli andava ai mondiali, vinceva".
Ok, mi avete convinto. Buongiorno.