Se
non si esagera nel farlo, prendersi in giro da soli può essere una cosa divertente.
La pancia parla a bassa voce: sta a te decidere se fare orecchio da mercante o no.
La pancia parla a bassa voce: sta a te decidere se fare orecchio da mercante o no.
E
se, tra un’ambulanza, un clacson, e il suono di una notifica che non capisci se
è arrivata a te o a chi ti sta accanto, la pancia ti dice che è meglio se tu e
il tuo stato d’animo scomodo restate soli, perché solo così potrete guardarvi
negli occhi, forse dovresti starla a sentire.
E invece non ti assumi neanche la responsabilità di rifiutare il consiglio e fare di testa tua, fai vigliaccamente finta di non aver sentito.
Cerco due tra i miei confidenti di fiducia.
E invece non ti assumi neanche la responsabilità di rifiutare il consiglio e fare di testa tua, fai vigliaccamente finta di non aver sentito.
Cerco due tra i miei confidenti di fiducia.
Di
quelli che ti fanno parlare prima, raccolgono i dati e poi li analizzano
insieme a te. Con le persone che tirano fuori dal cilindro soluzioni miracolose
preferisco parlare di tutto il resto: il caldo, l’umidità, eccetera. Che almeno
le loro intuizioni pazzesche servano per cose pratiche, terrene.
Alla
prima confidente chiedo quando posso telefonarle, perché vive in un'altra città.
Al secondo chiedo se possiamo vederci per un caffè. Con pippone sciolto dentro,
a tradimento? No, no, dico a entrambi la verità: “Ho bisogno di parlarti”.
Nessuno
dei due risponde, dice di essere impegnato o rilancia con un altro giorno e un
altro orario. Silenzio assoluto, anche dopo ore. Che la voce della mia pancia siano riusciti a
sentirla loro, da fuori? Che gli abbia detto “Lasciatelo solo, che male non gli
fa”?
In
assenza dei confidenti di fiducia, vado al bar di fiducia.
Saluti
e convenevoli col caposala.
-Fuori o dentro?
-Fuori, grazie.
Scelgo
quale, tra i tavoli fuori. Chiedo un’acqua frizzante, poso lo zaino sulla
sedia, entro in bagno a togliermi un po’ di sudore dalla fronte.
Quando
torno fuori l’acqua è sul tavolo ma ci sono due bicchieri. Il caposala non ha
visto che ero solo? Non ho mica detto di aspettare qualcuno. Sarà stata questa
cameriera nuova, in prova? Avrà visto lo zaino e pensato a due persone, di cui
una in bagno e l’altra al telefono, in disparte? Forse hanno portato due
bicchieri perché questo stato d’animo che mi scarrozzo appresso è così
ingombrante che lo vedono anche gli altri.
Fa
caldissimo e tira vento. Chiedo una coppetta pistacchio e cioccolato, magari mi
rinfresco. La ragazza nuova me la porta, con un misero tovagliolino che serve a ben poco ora che il vento soffia sul gelato
e lo scioglie, facendomelo colare sulle dita. Cerco il punto da cui precipita,
oltre il bordo della coppa, per poter intervenire col cucchiaino, ma non basta:
il gelato mi schizzichea su tutta la mano sinistra, corre veloce fino al polso.
Mi
sembra una metafora della mia quotidianità: c’è qualcosa che eccede, che
straborda pretendendo attenzione ma io non capisco dov’è che s’è rotto l’argine,
dove contenere.
Mi
innervosisco e vado di lingua. La ragazza
nuova mi guarda vagamente perplessa, si starà chiedendo che senso ha chiedere
la coppetta se poi la mangi come se fosse un cono.
Con
le dita azzeccose, che mi scoccio di andare di nuovo in bagno, mi accendo una
sigaretta, ma in realtà la offro a questo vento scroccone: alerniamo un tiro lunghissimo lui
e uno corto corto io, manco venti secondi e spengo il mozzicone.
Mi
guardo intorno. Tre coppie, una famiglia e altri due solitari: una mia coetanea
con fronte corrugata che picchietta la cannuccia sul bordo del bicchiere, un
signore che guarda qualcosa a terra, forse uno scontrino che rotola, mosso dal
vento scroccone.
Quasi
quasi chiedo loro di metterci tutti e tre allo stesso tavolo, come fanno certe mamme che
escono col figlio appresso. Potremmo far sedere i nostri stati d’animo vicini e
imporgli di giocare tra loro anche se si sono appena conosciuti. Così noi, per
un attimo, possiamo sospirare e lamentarci di quanto sia difficile essere
genitori.
Niente.
A distanza di pochi secondi il signore si alza e la mia coetanea chiede il
conto.
Aveva ragione la pancia: niente incontri cumulativi, devo restare ancora un po’ solo soletto cone lui, questo stato d’animo ingombrante. Ora gli verso un po’ d’acqua nel suo bicchiere, che non abbiamo abbastanza confidenza per bere dallo stesso.
Aveva ragione la pancia: niente incontri cumulativi, devo restare ancora un po’ solo soletto cone lui, questo stato d’animo ingombrante. Ora gli verso un po’ d’acqua nel suo bicchiere, che non abbiamo abbastanza confidenza per bere dallo stesso.
E
finalmente lo guardo negli occhi.