sabato 23 ottobre 2021

Una stanchezza che viene da lontano

C’è una stanchezza che viene da lontano.

Non ha a che fare con quanto hai dormito o lavorato, con la qualità dei pensieri e dei cibi che hai ingerito, e neppure con la quantità d’acqua con cui ti sei innaffiato.

Vorresti sapere da dove viene ma forse parla una lingua diversa dalla tua. Oppure, semplicemente, non ha voglia di dirtelo. Sarà stufa di questa domanda, glielo chiederanno continuamente.

Abbassa perfino i suoi occhi stanchi, quando provi a comunicarle a gesti. Può darsi che voglia solo essere lasciata in pace.

Le offro il mio divano e una copertina. E mentre dorme con la bocca spalancata, cerco il suo volto nel cestino del telefono, tra le foto venute male e cancellate troppo in fretta. Cerco i suoi lineamenti tra i pensieri bisbigliati e sopraffatti dal rumore di fondo.

Annuso di nascosto i vestiti che ha appoggiato sulla sedia, in cerca di un odore che mi sia familiare.

 

lunedì 18 ottobre 2021

Stasera Cicoria




Stasera cicoria, divina miseria
Ricorda l'infanzia e la capisci più in là.

Stasera cicoria, sbolle l'incuria
Così amarognola, lei se ne va.

Stasera cicoria, porca miseria
Esaltata dal limone, viva l'aspra verità.

martedì 7 settembre 2021

Giuni, in anticipo sui tempi.



Giuni Russo avrebbe compiuto settant’anni oggi.

Ci ha lasciati poco più che cinquantenne per via di un male incurabile ed è un peccato che, a distanza di quasi vent’anni da quella sua partenza prematura, ancora oggi nella memoria di molti sia “solo” l’interprete di “Un’estate al mare”.

 

Sia chiaro che, se anche così fosse, non ci sarebbe certo nulla di male.

“Un’estate al mare” è una canzone pop pressoché perfetta, scritta da Giusto Pio e Franco Battiato che, nella versione in studio, eseguì una seconda voce sul canto.

Fu un grande successo dell’estate dell’82 e diede modo alla cantante siciliana di esprimere la sua enorme estensione vocale, spaziando dalle note basse fino a quelle disumane in cui imitava il verso dei gabbiani.

Paloma San Basilio ne incise anche una versione in spagnolo (“Unas vacaciones”), la stessa che Giuni aveva rifiutato perché il testo era stato completamente stravolto.

A proposito del testo, quanti di noi, pur avendolo canticchiato, ne hanno colto il suo reale significato? La voce narrante è una prostituta che racconta la sua faticosa quotidianità e si proietta con la fantasia nel sogno borghese delle vacanze al mare. Ascoltare (con attenzione) per credere! Non a caso si vocifera che, nella versione originale del testo, la prima strofa recitasse “Per le strade mercenarie del sesso che procurano fantastiche EREZIONI” poi corretto in “ILLUSIONI”.

Insomma, dietro un brano pop spesso c’è molto più di quanto siamo capaci di percepire.

 

Relegata nella gabbia di quel successo estivo sia dai suoi discografici che dalla memoria del pubblico, Giuni Russo è stata però molto di più: non solo ha inciso i migliori dischi pop italiani degli anni Ottanta (pieni di harmonizer, suoni elettronici e testi insoliti) ma è stata un’artista sperimentale e d’avanguardia che ha mischiato tra loro generi musicali apparentemente inaccostabili.

 

Nell’album “A casa di Ida Rubinstein” (1988) ha omaggiato Verdi, Donizetti e Bellini interpretando le loro arie da camera arrangiate con suoni moderni, contaminando la classica col pop e il jazz, e nella fase matura della sua carriera ha avuto una profonda svolta mistica, diventando devota a Santa Teresa D’Avila e adattando in musica alcuni testi di San Giovanni della Croce (le meravigliose “La sposa” e “La sua figura”, scartata in extremis da Sanremo nel ‘94).

 

Dopo esser stata ingiustamente emarginata dai mass media (complice la guerra che le mosse la sua ex discografica Caterina Caselli), per avere l’opportunità di tornare davanti al grande pubblico è stato necessario lo zampino di Pippo Baudo, che l’ha fortemente voluta in gara al Festival di Sanremo del 2003 con “Morirò d’amore”, brano più volte bocciato dalle selezioni delle edizioni precedenti. Sul palco dell’Ariston la cantante, già malata, si presentò col cranio visibilmente reso calvo dalla chemioterapia ma abbellito da originali disegni.

 

In occasione di questo settantesimo compleanno mancato, nei prossimi giorni verrà pubblicata una riedizione di “A casa di Ida Rubinstein”: un cofanetto contenente, oltre all’album nella sua versione originale , una nuova registrazione (con interventi di Battiato e dei jazzisti Paolo Fresu e Uri Caine) e un dvd live.

 

Siamo ancora in tempo per rivedere e ampliare il ricordo che abbiamo di questa voce unica che non si limitava a compiacersi della propria bellezza. Siamo ancora in tempo per darci una seconda possibilità, comprendere oggi ciò che all’epoca ci è risultato ostico e ammettere che tale errore di valutazione è avvenuto perché Giuni Russo, come molti grandi artisti, ha saputo giocare in anticipo sui tempi.

 

https://www.youtube.com/watch?v=AARiAlSia5c


 

mercoledì 18 agosto 2021

Lalli

 


Compie oggi 65 anni un tesoro nascosto della musica italiana: Marinella Ollino, in arte Lalli che, prima di rivelarsi un’ottima cantautrice, è stata la voce dei torinesi Franti.



Se a molti, ripensando alla cosiddetta scena alternativa italiana degli anni Ottanta, vengono immediatamente in mente i nomi dei Cccp e dei Diaframma di Federico Fiumani, non tutti forse si ricordano dei Franti.

Punk più nell’attitudine che nel loro stile musicale, che invece era eclettico e difficilmente classificabile, i Franti prendevano il nome da un personaggio “cattivo” del libro “Cuore” di Edomondo De Amicis e, del movimento di cui facevano parte, sono stati i più radicali nel rifiutare le regole del mercato: veri e propri pionieri del no-copyright, non erano iscritti alla Siae e hanno avuto una distribuzione ai limiti della clandestinità.

Dopo lo scioglimento della band, le due anime del gruppo, Lalli e il sassofonista/chitarrista Stefano Giaccone, daranno vita a numerosi progetti (Environs, Orsi Lucille, Howth Castle e altri ancora), ma bisognerà aspettare un bel po’ di tempo per scoprire che Lalli, oltre ad avere una voce molto speciale, è anche una notevole autrice.



Siamo alla fine degli anni novanta quando, secondo un aneddoto raccontato dalla cantante stessa in un’intervista, suo padre, che era molto legato a “Bella ciao”, le appare in sogno e le chiede affettuosamente “Canta la mia canzone”: lei al risveglio scrive “Brigata partigiana Alphaville” che finirà in “Tempo di vento”, il suo acclamato esordio solista.

Il disco, che contiene anche un adattamento in italiano di “Famous blue raincot” di Leonard Cohen, viene pubblicato nel 1998 da “Il Manifesto” e, complice anche un prezzo politico e la distribuzione nelle edicole, vende diecimila copie e ottiene diversi riconoscimenti.

Dopo verrà “Testa storta”, scritta insieme a Pietro Salizzoni per la colonna sonora di “Preferisco il rumore del mare” di Mimmo Calopresti, che finirà nel successivo album “All’improvviso, nella mia stanza”.

Ci saranno pochissimi altri album, ma tutti di spessore, due applaudite prove come attrice cinematografica (“Nemmeno il destino” di Daniele Gaglianone e “Senza fine” di Roberto Cuzzillo) e una raccolte di poesie pubblicata nel 2017.

Il suo ultimo disco, firmato a quattro mani col contrabbassista Stefano Risso, risale a cinque anni fa e la sua ultima apparizione dal vivo è stata ad un concerto evento dei Franti, riuniti nella formazione originale, nel 2019.

Lalli non è su nessun social, non ha un canale YouTube, perfino la sua pagina su Wikipedia non è del tutto aggiornata, tanto che per avere sue notizie recenti bisogna imbattersi in un lavoro certosino di ricerca in rete, che spesso porta a risultati frustranti.



Lalli rappresenta di sicuro un modo originale di presenziare nel mondo artistico: ha avuto una carriera frammentaria, sensibile a lunghissime pause, in parte dovute anche a problemi di salute, tanto che, per chi la ama, è difficile non rimproverarle di essere più presente, non sperare in un suo ritorno.

In cambio di questa scelta del tutto personale ci ha offerto però la sua voce particolarissima, a tratti quasi inquietante, capace tanto di accarezzarci quanto di toccarci proprio in quel punto lì, dove ci fa male e dove ogni tanto occorre rivolgere lo sguardo.

Ha usato questa sua voce per raccontarci delle storie forse non sempre immediate, ma di una bellezza avvolgente e malinconica. E di questo non possiamo fare altro che esserle grati.

 

https://www.youtube.com/watch?v=C9sqnYyuepI


sabato 7 agosto 2021

"Amore disperato", tormentone dell'estate 1983


Nell’estate del 1983 le radio e i jukeboxe trasmettono “Vamos a la playa” dei Righeira, “I like Chopin” dei Gazebo, “Nell’aria” di Marcella Bella e “Do you really want to hurt me” dei Culture Club: tutte canzone destinate in futuro a rappresentare gli anni 80.

Ma, in quell’agosto in cui Bettino Craxi diventa Presidente del Consiglio, la canzone che mette tutti d’accordo è “Amore disperato” di Nada, una hit che di quegli anni diventerà emblema tanto quanto i capelli cotonati e le cinture del Charro.


Nada, eclettica e camaleontica, nell’83, ad appena trent’anni, si è già lasciata alle spalle un paio di vite artistiche: è stata infatti una diva bambina della canzone melodica italiana, debuttando quindicenne a Sanremo con “Ma che freddo fa”, ma anche una musa dei cantautori impegnati, come Paolo Conte e Piero Ciampi, col quale ha realizzato “Ho scoperto che esisto anch’io”, un album scioccante e d’avanguardia, ancora oggi attualissimo.


Agli inizi degli anni 80 la cantante toscana sterza all’improvviso verso il pop più leggero: nell’81 con “Dimmi che mi ami, che mi ami, che tu ami, che tu ami solo me” e l’anno dopo con “Ti stringerò”, brano che alcuni suoi discografici definiscono, esagerando, “porno”.


Ma come nasce la perfezione pop di “Amore disperato”?
Qualche tempo prima, l’aiuto regista di Giulio Bosetti, col quale Nada è a teatro nei panni di Anna Frank, le ha consegnato una cassetta col brano scritto da un suo amico, una lunghissima canzone solo voce e sitar. Di certo non è quello che Nada sta cercando ma, restandone affascinata, chiama il numero scritto a penna sulla cassetta e fissa un appuntamento col suo autore.


E’ così che Varo Venturi si presenta a casa sua per farle sentire degli inediti. Tra questi, ce n’è uno articolato su un giro armonico, che inizia con un vocalizzo un po’ buffo, una sorte di hook ante litteram.
Parla di disagi familiari, di una madre sepolta in casa e di un padre vittima di debiti e cambiali. Non ha convinto nessuno dei discografici che finora l’hanno ascoltata ma Nada, pur storcendo il naso davanti al testo, ne adora la musica e propone al giovanissimo autore di cambiare le liriche, riscrivendole insieme.
Prende forma così la canzone che tutti conosciamo: ci sono due tizi che ballano tra le stelle accese ma non ci sono cellulari, nè social, nè app di incontri: l’amore estivo diventa così un ritorno nel luogo del primo incontro, un’attesa straziante, un telefono (fisso) che tace e poi una notte squilla finalmente come un gallo. E’ insomma una sorta di inno all’incontro fortuito, quello che fa cambiare direzione a una serata in cui ti annoi mortalmente. Una celebrazione del colpo di fulmine estivo, che dura una stagione come le cicale e proprio per questo resta impresso nei ricordi.
Il nuovo testo della canzone è quasi pronto, manca solo un nome da dare alla discoteca in cui è ambientata. Carlotta, la figlia che Nada ha avuto dal compagno di una vita (Gerri Manzoli, ex bassista dei Camaleonti), si aggira intorno alla scrivania dove la madre e Venturi stanno lavorando reggendo in mano un piccolo sassofono giocattolo, di colore blu. A Nada, che si sta spremendo le meningi, cade l’occhio sull’oggetto e pone fine al rompicapo: il locale si chiamerà “Sassofono blu” e la canzone “Amore disperato”.


La cantante toscana è dunque coautrice del brano? Sì, ma non per la Siae.
Una delle sue precedenti case discografiche, per sciogliere il contratto capestro da cui lei voleva liberarsi, le aveva chiesto un risarcimento danni di cento milioni di lire, cifra che Nada non possiede, oppure la cessione di tutte le sue future entrate come autrice, fino al raggiungimento della somma richiesta. La signora Malanima accetta, ma si vendica depositando le sue composizioni a nome del marito che, di fatto, di “Amore disperato” risulta legalmente autore accanto a Varo Venturi.


La canzone, arrangiata con uno stile elettropop tipicamente anni 80 e arricchita con un assolo del sassofono citato nel testo, sarà un successo da oltre trecentomila copie vendute e farà ottenere alla sua autrice diversi riconoscimenti a manifestazioni come “Festivalbar”, “Azzurro” e “Vota la voce”.
Negli anni se la prenderanno in prestito altri artisti, che ne faranno una propria versione. Oltre che sulle piste da ballo delle serate a tema, finirà nella colonna sonora di diversi film, e verrà scelta anche da Gucci per la sua campagna mondiale.



Nell’87, dopo una partecipazione a Sanremo in cui il suo pezzo “Bolero” non verrà purtroppo capito, Nada si ritirerà momentaneamente in un silenzio artistico per prepararsi all’ennesima metamorfosi, quella definitiva.
A partire dal 1992 può finalmente firmare le sue canzoni e torna sulle scene nelle vesti di cantautrice rock, col suo inconfondibile timbro rauco e graffiato, sporcato dal fedele sigaro.
Sfornerà una serie di album autografi spigolosi e coraggiosi che le procureranno, oltre all’approvazione della critica, un nuovo pubblico, fatto di giovani appassionati di rock indipendente che quasi non sanno nulla del suo passato.
Tornerà inoltre a teatro con spettacoli scritti da lei e pubblicherà dei romanzi, di cui alcuni biografici (come “Il mio cuore umano” recentemente diventato un biopic per la tv, “La bambina che non voleva cantare”). Diventerà, senza volerlo, un punto di riferimento femminile per la scena alternativa e collaborerà con le migliori penne di quest’ultima: Massimo Zamboni dei Cccp, John Parish, Zen Circus e Motta.

Ecco il link per ascoltarla https://www.youtube.com/watch?v=hMM140FbWh0



 

venerdì 30 luglio 2021

Buon Compleanno, Kate Bush!

L’indimenticabile Kate Bush compie oggi 63 anni.

Nel 1978 non c’ero ancora ma, se ci fossi stato, avrei sicuramente fatto parte dei punkettoni.

E nel pieno trionfo di borchie, creste, spille e teste rasate, l’esordio di Kate Bush, una diciannovenne di periferia col viso che sembra di porcellana, per me sarebbe stato una doccia fredda, come lo è stato sicuramente per chi c’era.
Mi diverto a immaginarmi la scena: mentre io e i miei amici ci sputiamo addosso pogando, questa irrompe sulle scene in un modo scioccante, socialmente decontestualizzato: con una sinfonia agrodolce in forma canzone, una melodia perfetta, cantata dalla sua voce sopranile e surreale che sembra arrivare da un altro pianeta.

Si chiama “Wuthering Heights” e l’ha scritta lei tre anni prima, appena sedicenne, prima di essere scoperta e lanciata da David Gilmour dei Pink Floyd, dopo aver letto il classico ottocentesco di Emily Bronte, che lei riscrive, attraverso il testo della canzone, dal punto di vista della protagonista femminile, Cathy.
Capirai, che cosa banale! Tutti noi alle superiori abbiamo letto “I Promessi sposi” e ci abbiamo scritto sopra un capolavoro immortale del pop, che parlava di Renzo e Lucia, no?

La Emi, casa discografica che sta per pubblicare il suo primo album, “The kick inside”, si dimostra scettica a lanciare come singolo proprio “Wutehring heights”: la trova troppo capricciosa ed eccentrica, ma Kate insiste e fa bene.
Diventa così la prima donna a finire in cima alla classifica con una canzone di cui è anche autrice e inaugura una carriera di successo fatta di album sperimentali che avranno il merito di educare l’ascoltatore medio al pop d’avanguardia.

Prima di una serie di concerti che risalgono ormai al 2014, la sua unica tourné è stata quella del 1979: un live fatto di danza, mimo e giochi di prestigio, oltre che di musica.
Tutti ci chiediamo come mai dall’attività live si sia presa una pausa di ben 35 anni e perchè quei concerti del 2014 siano stati l’eccezione che ha confermato la sua regola.
Si vocifera di una fobia a prendere l’aereo ma anche del trauma mai superato per la morte del suo direttore delle luci, che morì accidentalmente cadendo da un’altezza di sei metri proprio durante un suo concerto.

Difficile quantificare quanto siamo debitori a quest’artista.
I bei dischi che Bjork, Tori Amos, Florence and Machine, ci hanno regalato, giusto per fare un esempio, sarebbero stati gli stessi se loro non avessero ascoltato prima quelli di Kate Bush?

Buon Compleanno, Kate! Se ti venisse in mente di festeggiare con un disco nuovo, qua stiamo.



sabato 17 luglio 2021

Il cuore l'oblò non ce l'ha


 

Ci sono diversi modi per preservare l’igiene del cuore.

In mancanza di una linea precisa, ci si potrebbe lasciare ispirare dalla manutenzione che riserviamo alla nostra lavatrice.

Le tempeste finiscono come fa la centrifuga, rallentando prima e assestandosi poi.
Quell’armonizzazione strana, fatta da una nota fissa che sembra un fischio, unita al rumore del cestello che gira vorticosamente, la sopporti finché c’è, ti ci abitui pure.
Solo quando è finita, e lascia finalmente posto al silenzio, realizzi quanto fosse fastidiosa.

Il cuore l’oblò non ce l’ha.
Nessuno sportello anteriore che attraverso il vetro ti permetta di osservare quello che ti si sta freneticamente aggrovigliando dentro.
Mentre il movimento rotatorio è in atto e i liquidi vengono separati dai solidi, è bene non toccare niente. Il cuore ha una sua intelligenza e in quei momenti attiva il blocco della porta, proprio per evitare che ci venga in mente di combinare guai.
Poi, anche nel nostro quotidiano arriva il momento in cui sentiamo “tac”: un suono che ci viene a viene a dire che lo sportello adesso lo possiamo aprire: il cestello che ha girato mille volte si riposa, può essere completamente svuotato. Al resto ci pensa il sole, almeno in questa stagione.

Ḗ in quel momento che dovremmo ispirarci alla nostra lavatrice e fare lo stesso col cuore.
Lasciare l’oblò accostato, per far areare l’interno ed evitare l’insorgere di cattivi odori, di chiuso, di umido, di stantio. Per prepararci a nuovi incontri, e permettere all’altro non solo di sbirciarci dentro come davanti a una vetrina, ma anche di infilare il naso e vedere che aria tira.

domenica 13 giugno 2021

Il cucciolo


Ultimo giorno di scuola.
Dal balcone della biblioteca si intravede un giardino antico, ma se vuoi affacciarti per vederlo meglio non puoi: le mattonelle del terrazzo sono indelebilmente marchiate di bianco dalle feci di una mamma gabbiana che si aggira lì intorno aggressiva.
Per svolgere il progetto che negli ultimi mesi mi ha portato qui, ho avuto la fortuna di essere ospitato in questo posto molto bello, dove si annusa un passato misterioso.
Come d’abitudine, mi siedo rivolgendo le spalle sia al balcone che a mamma gabbiana.
Non ha un carattere facile, lei. Se oltrepassi la soglia ti si avvicina appunto minacciosa, ma se le giri la faccia, ignorandola, ti ricorda della sua presenza, eccome.

Così anche oggi rompe il silenzio col suo garrito improvviso, facendomi sussultare e provocando, di conseguenza, le risate dei ragazzi con cui sto lavorando.
Stamattina ce ne sono solo due su quattro: di uno ho perso le tracce da un po’ e l’altro è assente.
L’altro è il mio preferito, perché un preferito ce l’abbiamo sempre, anche quando riusciamo a nasconderlo dietro un insospettabile atteggiamento imparziale.
E’ quello che pur avendo un grande intuito, e una meravigliosa intelligenza grezza, non raffinata, ha scarsa fiducia in sè e nei propri mezzi.
Quando la mascherina gli scivola sul mento, e devo fargli segno di tirarsela sù, sopra il labbro superiore mostra un filo di peluria che ancora non ha conosciuto il rasoio, e che è forse già pronta a farsi più ispida, a tramutarsi in filo spinato per proteggere le parole che sceglierà di tenersi dentro.
Spesso, negli incontri passati, se lo guardavo negli occhi, mi suonava in testa “Il ragazzo” di De Gregori. Il suo sguardo mi ricorda quello che avevo io alla sua età, quel tipo di sguardo che non capisci dove finisce la rabbia e dove comincia la paura.
Ieri gli ho scritto, se domani vieni a scuola ripetiamo per l’esame, e lui per la prima volta ha visualizzato senza rispondere.
A volte la vita decide di fare così, di portarci a sperdere, di farci imboccare vichi e vicarielli, finché non ci costringe a un gioco di ruoli e ci mette dall’altra parte, a insegnare ciò che abbiamo più bisogno di imparare. Non so, forse vuole solo vedere a che punto del cammino ci troviamo.

Faccio l’in bocca al lupo ai ragazzi, mi alzo per riaccompagnarli in classe e, mentre raccolgo le mie cose, vedo sul terrazzo il cucciolo di gabbiano che zoppica incerto.
La sua mamma, che si solito garrisce arrabbiata perché ha paura, ora è calma, tace.
E’ molto cresciuto dalla prima volta che l’ho visto, qualche mese fa. Adesso ha le piume di un marrone rossiccio. Presto ne avrà di un colore diverso, più simili a quelle al suo piumaggio adulto.