domenica 28 ottobre 2018

No (grazie?).





Si può essere chiusi verso l’altro per diverse ragioni. 
Ben venga quando avviene per paura, perché in tal caso il gesto del passo indietro comunica il suo esatto contrario: se ci tieni, vieni tu verso di me, ma fallo piano piano, con gentilezza.

Spesso però ci si chiude all’altro per assenza di curiosità, per una forma di parsimonia del tutto gretta, per insufficienza di apertura mentale, per sudditanza a quelle due o tre convinzioni di cui si è in possesso, perché, si sa, meno sono e più bisogna tenersele strette.

Consumismo dei rapporti umani? Magari! L’impressione più ricorrente è che, al contrario, tutto resti in vetrina, nel cestone delle offerte, o peggio ancora in deposito, in un albo-limbo dove il tuo curriculum deambula come un anima in pena in attesa che le vanga assegnato un corpo.

Sono lontani i tempi in cui “Non mi serve niente” lo dicevamo con educato distacco ai venditori ambulanti dai quali ci sentivamo importunati in spiaggia, agli operatori di call center che ci svegliavano durante la pennica. 
Ora quelle quattro parole le rivolgiamo con disinvolta arroganza perfino a chi ci offre il suo aiuto in un posto in cui siamo addentrati di nostra volontà. 
E se non ci serviva niente, cosa siamo entrati a fare? Stavamo giusto dando un’occhiata, ovviamente. Così, per ingannare il tempo. Non si può, gli occhi non ce li abbiamo forse per guardare?

Forse è vero che alcuni di noi vivono per guarire dalla ferita del rifiuto. Ma il fallimento, che in tanti ambiti rientra tra le variabili, in questo settore sembra non essere contemplato. Neanche una sbandata, una deviazione rispetto alla meta, come incoraggiamento, per cambiare aria, per allungare la miscela con un altro ingrediente.
Poco male comunque: abbiamo tutti ormai un dispositivo che ci localizza. Perfino quando ci nascondiamo sotto il letto perché non vogliamo farci trovare da nessuno.