giovedì 13 aprile 2017

Venerdì Blasfemo



La gratitudine è uno stato d’animo di cui si parla poco, o probabilmente non a sufficienza.
Per un’assurda consuetudine la si accoglie con riluttanza, con scetticismo, figuriamoci poi guardarla negli occhi, dichiararne la presenza, verbalizzarla. Roba da sfigati, né?
Ma alla consuetudine, per fortuna, c’è sempre un’alternativa, e le sue regole sono tutto sommato semplici. Hai bisogno di aiuto, e per prima cosa ti concedi il permesso di ammetterlo a te stesso, che hai bisogno di aiuto. Poi lo esterni, talvolta addirittura in silenzio. E puff!, l’aiuto arriva.
Quando infine capisci che la gratitudine funziona come tutti gli altri stati d’animo, e cioè che si autoalimenta, ci sguazzi dentro, te la schizzi in faccia con le tue stesse mani, ci fai il morto a galla, metti la testa sott’acqua, per poterla sentirla pure nelle orecchie.

Cara mamma, me lo ricordo ancora quel venerdì santo di tanti anni fa in cui mi dicesti di non cantare “perché oggi muore Gesù”. Che poi, a dirla tutta, era ancora mattina, mancavano diverse ore alla Via Crucis, mi stavi addirittura chiedendo di portare il lutto in anticipo.
Da persona intelligente quale sei, non solo ritirasti poco dopo il tuo divieto, ma ammettesti per giunta di avermelo imposto solo perché, da bambina, lo subivi a tua volta dalla tua, di madre.
Per un attimo avevi pensato di portare avanti la tradizione di quel veto per consuetudine, perché la tua parte razionale lo considerava giusto. Invece, nel giro di pochi minuti, arrivasti perfino a confessarmi che il venerdì santo andavi a cantare in giardino, dove tua madre, mia nonna, non avrebbe potuto sentirti.
La confessione di quella tua trasgressione fu un grande insegnamento: in un modo forse un po’ goffo, camuffato da un atteggiamento incoerente, mi stavi dicendo, tra le righe, che c’è un modo diverso di vedere le cose, che spesso di una cosa è vero anche il suo contrario.

Mortacci, vado a cantare in giardino anch’io, prima che il cuore mi scoppi di gioia.