giovedì 20 luglio 2017

Pazienza!

C’ho un amico buddhista.
Sebbene sia lecito immaginarselo rasato, e con un saio arancione addosso, cedendo a questo automatismo si finisce fuori strada. 
A dire il vero l’arancione gli piace, lo indossa pure spesso (è sensibile al kitsch), ma si tratta di una coincidenza priva di significato.
Lui non sa cosa sia il buddhismo e ignora, ovviamente, di esserne un seguace inconsapevole. All’esame di Religioni e Filosofia dell’India, finito chissà come nel suo piano di studi, fu prima bocciato e poi promosso, ma col voto più basso della sua infinita carriera universitaria.

Sì, è vero, è quel genere di persona che non crede al caso, ma che tutto succeda quando siamo pronti. Per lui i nemici sono amici perché mettono alla prova la nostra forza interiore, gli ostacoli non sono punizioni ma segno di fiducia e tutto ciò che ti rompe le palle uno stimolo a fare di meglio. 
Ste fricchettonerie però le sputa fuori solo se ha ingoiato una Ceres di troppo: in generale, a livello teorico, non si trova il culo con due mani.

È ovviamente molto paziente il mio amico buddhista.
Tutti glielo ripetono in continuazione, con apparente ammirazione: sembra infatti  un complimento, peccato però che gli occhi dei suoi interlocutori  dicano in playback l’esatto contrario. Il significato nascosto della frase che spesso gli viene rivolta (“Eh,vorrei avere metà della pazienza che hai tu”) è il seguente: “Beato te che sei scemo e campi meglio!”.
Resta da capire se la pazienza sia un pregio o un difetto. Pare che di questi tempi sia più cool prendere le situazioni di petto, chiamare le cose col proprio nome, non passare per scemi. Ma è ancora cool essere cool?
Colui che ha pazienza va in Paradiso, recita il detto. E va bene, ma a sto povero colui, prima che muoia e vada in Paradiso, gli dobbiamo trovare qualcosa da fare finché è vivo.

Io col mio amico buddhista l’ho fatto. Gli ho chiesto aiuto, lui è sempre così disponibile. 
Da tempo c’ho una pentola piena d’acqua che bolle. Un cerchio disegnato dal calcare segna il livello a cui arrivava il liquido quando l’ho messo sul fornello, prima che cominciasse ad evaporare. Il sugo poi, da mo che è pronto, si è addirittura raffreddato. 
Il pacco di fusilli è rimasto aperto, mezzo pieno. La metà che manca è nella bilancia, che fare le cose a occhio non è arte mia, ma già la polvere ci si sta adagiando sopra. La pasta ha paura dell’acqua bollente, non è pronta ad affrontare la cottura.

Io sono stanco, non mi intendo di rimozione di traumi, di rilascio di blocco emozionali: non ho imparato nulla dal mio amico. Così ho deciso di mollare la presa, gli ho chiesto di fare la sentinella in cucina mentre mi vado a fare una pennica.
Tanto cosa può mai succedere in mia assenza? Se viene il terremoto mi sveglio, né? Se una cosa è inevitabile non ha senso pregare né per evitarla né per augurarsi che accada: è inevitabile, no?

Lui vuole sapere come comportarsi se l’acqua evapora del tutto e il fuoco brucia il fondo della pentola. Capirai, quest’ultima è già sopravvissuta a due traslochi e il manico che le manca la fa sembrare una mutilata di guerra:è giusto che anche la poveraccia si goda la meritata pensione.
Che poi la parola pazienza, se ci metti vicino un punto esclamativo, diventa bella: ti deresponsabilizza. Vuol dire che sei libero di accettare serenamente una cosa che è andata come doveva andare, che nonostante il tuo presunto arbitrio non c’entri niente. Mah, forse qualcosa dal mio amico l'ho imparata.

Massì, ho cambiato idea: niente pennica, che se viene il terremoto e schiatto non so manco se esiste il Paradiso.  
Esco e visto che il cielo è indeciso mi porto l’ombrello. Se poi  le nuvole si tolgono di mezzo ed esplode una giornata focosa, l’ombrello lo uso per proteggermi dal sole.