C’ho un amico buddhista.
Sebbene sia lecito immaginarselo rasato, e con un saio arancione addosso, cedendo a questo automatismo si finisce fuori strada.
A
dire il vero l’arancione gli piace, lo indossa pure spesso (è sensibile
al kitsch), ma si tratta di una coincidenza priva di significato.
Lui
non sa cosa sia il buddhismo e ignora, ovviamente, di esserne un
seguace inconsapevole. All’esame di Religioni e Filosofia dell’India,
finito chissà come nel suo piano di studi, fu prima bocciato e poi
promosso, ma col voto più basso della sua infinita carriera
universitaria.
Sì, è vero, è quel genere di persona che
non crede al caso, ma che tutto succeda quando siamo pronti. Per lui i
nemici sono amici perché mettono alla prova la nostra forza interiore,
gli ostacoli non sono punizioni ma segno di fiducia e tutto ciò che ti
rompe le palle uno stimolo a fare di meglio.
Ste fricchettonerie
però le sputa fuori solo se ha ingoiato una Ceres di troppo: in
generale, a livello teorico, non si trova il culo con due mani.
È ovviamente molto paziente il mio amico buddhista.
Tutti
glielo ripetono in continuazione, con apparente ammirazione: sembra
infatti un complimento, peccato però che gli occhi dei suoi
interlocutori dicano in playback l’esatto contrario. Il significato
nascosto della frase che spesso gli viene rivolta (“Eh,vorrei avere metà
della pazienza che hai tu”) è il seguente: “Beato te che sei scemo e
campi meglio!”.
Resta da capire se la pazienza sia un pregio o un
difetto. Pare che di questi tempi sia più cool prendere le situazioni di
petto, chiamare le cose col proprio nome, non passare per scemi. Ma è
ancora cool essere cool?
Colui che ha pazienza va in Paradiso,
recita il detto. E va bene, ma a sto povero colui, prima che muoia e
vada in Paradiso, gli dobbiamo trovare qualcosa da fare finché è vivo.
Io col mio amico buddhista l’ho fatto. Gli ho chiesto aiuto, lui è sempre così disponibile.
Da
tempo c’ho una pentola piena d’acqua che bolle. Un cerchio disegnato
dal calcare segna il livello a cui arrivava il liquido quando l’ho messo
sul fornello, prima che cominciasse ad evaporare. Il sugo poi, da mo
che è pronto, si è addirittura raffreddato.
Il pacco di fusilli è
rimasto aperto, mezzo pieno. La metà che manca è nella bilancia, che
fare le cose a occhio non è arte mia, ma già la polvere ci si sta
adagiando sopra. La pasta ha paura dell’acqua bollente, non è pronta ad
affrontare la cottura.
Io sono stanco, non mi intendo
di rimozione di traumi, di rilascio di blocco emozionali: non ho
imparato nulla dal mio amico. Così ho deciso di mollare la presa, gli ho
chiesto di fare la sentinella in cucina mentre mi vado a fare una
pennica.
Tanto cosa può mai succedere in mia assenza? Se viene il
terremoto mi sveglio, né? Se una cosa è inevitabile non ha senso pregare
né per evitarla né per augurarsi che accada: è inevitabile, no?
Lui
vuole sapere come comportarsi se l’acqua evapora del tutto e il fuoco
brucia il fondo della pentola. Capirai, quest’ultima è già sopravvissuta
a due traslochi e il manico che le manca la fa sembrare una mutilata di
guerra:è giusto che anche la poveraccia si goda la meritata pensione.
Che
poi la parola pazienza, se ci metti vicino un punto esclamativo,
diventa bella: ti deresponsabilizza. Vuol dire che sei libero di
accettare serenamente una cosa che è andata come doveva andare, che
nonostante il tuo presunto arbitrio non c’entri niente. Mah, forse
qualcosa dal mio amico l'ho imparata.
Massì, ho cambiato idea: niente pennica, che se viene il terremoto e schiatto non so manco se esiste il Paradiso.
Esco
e visto che il cielo è indeciso mi porto l’ombrello. Se poi le nuvole
si tolgono di mezzo ed esplode una giornata focosa, l’ombrello lo uso
per proteggermi dal sole.
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