mercoledì 12 gennaio 2022

Tra le favole in mutande

 




Il 12 Gennaio del 1989 ci lasciava colui che “girava tra le favole in mutande”: Franco Fanigliulo, figura anomala della canzone italiana, cantautore ironico e malinconico differente da tutti i suoi colleghi.
La sua produzione non ottenne l’attenzione che meritava e non é stata riscoperta neppure nei trent’anni trascorsi dalla sua morte, avvenuta all’improvviso quand’era poco più che quarantenne.
Ex marinaio, esordì al cinema insieme a Benigni, interpretando degli stralci di sue canzoni in “Berlinguer ti voglio bene” di Bertolucci. Approdò al modo discografico nella seconda metà degli anni settanta grazie a Caterina Caselli, che che produsse i suoi primi tre album e che nello stesso periodo fece conoscere al pubblico anche Faust’O e Pierangelo Bertoli.
Dopo un ep pubblicato con la “Numero uno” di Battisti, si allontanò dalle scene, ritirandosi in campagna per dedicarsi all’allevamento degli animali, procurandosi così l’appellativo di “poeta contadino”.
Alla fine degli anni ottanta pubblicò un singolo con l’etichetta di Vasco Rossi, collaborò con Zucchero, scrisse un libro di fiabe che Mondadori avrebbe dovuto pubblicare e stava lavorando ad un nuovo disco, che poi, su volontà dei due colleghi e amici, fu pubblicato postumo e parzialmente incompleto, con alcuni brani privi delle tracce vocali.
Chi non lo conosce può cominciare proprio dall’unica sua canzone che, grazie al Festival di Sanremo del 1979, ebbe maggiore eco.
Complice il fatto che nell’edizione precedente il pubblico aveva apprezzato personaggi nuovi e anticonvenzionali (Rino Gaetano e Anna Oxa), quell’anno nel cast trovarono posto due figure aliene del cantautorato italiano: Enzo Carella, che presentò “Barbara” (consigliatissima la visione della sua irriverente esibizione, accompagnata da quattro ballerine sandwich) e Fanigliulo con “A me mi piace vivere alla grande”.
Questo brano presenta bene la poliedricità dell’autore, il suo giocare col col nonsense, indietreggiando un attimo prima di oltrepassare la soglia. Ironia e fascinazione per il cabaret sono messi in risalto dall’arrangiamento e dall’interpretazione vocale, che a tratti paiono voler deridere un’aria d’opera.
Basti pensare che l’incipit è affidato alla frase “Guglielmo ha un reggipetto che se lo mette spesso nel cuore della notte come se fosse adesso”.
Per tenere buono il pubblico benpensante non fu sufficiente convertire “foglie di cocaina” in “bagni di candeggina”. Ci fu infatti un altro verso della canzone che suscitò polemiche: “Adesso che Gesù ha un clan di menestrelli che parte dai blue-jeans e arriva a Zeffirelli”. E sebbene Fanigliulo alludesse al regista del film “Gesù di Nazareth” e alla griffe di jeans “Jesus” (che qualche anno prima aveva dato scandalo a causa della campagna promozionale curata da Oliviero Toscani) qualcuno lo accusò di vilipendio alla religione cristiana.
Infine, vedendo il video dell’esibizione, non si può non amarne l’enfasi comunicativa, la capacità di interpretare il brano con tutto il corpo, con una mimica e una gestualità dosate al punto giusto e mai eccessive. Non è un caso che, a chi lo rimproverava di essere artefatto lui rispondesse: “Non sono bugiardo, ho solo fantasia”.
Geniale a sua insaputa, con dieci anni d’anticipo predisse la propria morte nel verso “Ho un nano nel cervello, un ictus cerebrale”: proprio quello che nell’89 se lo portò via a 44 anni.

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