sabato 23 settembre 2017

(5 x 8) + 10 = ?




Ricordo ancora la mia preoccupazione mentre andavo dal fotografo.
Nel tempo trascorso dalla consegna del rullino fino a quel giorno, in cui stavo tornando da lui a ritirare le foto ormai sviluppate, mi ero chiesto se questo scatto sarebbe stato all’altezza del momento che volevo ricordare.
Perché era quello il motivo per cui, all’epoca, si scattavano le foto, no? Per aiutare la memoria a trattenere qualcosa di prezioso. Si sceglieva accuratamente cosa fotografare: i rullini costavano, così come lo sviluppo. Non potevi vedere subito com’era venuta la foto, né cancellarla e rifarla cambiando angolazione o smorfia del viso. Più che sedici anni fa, ahinoi, sembra un’altra vita.

Questa foto ce la scattò Giuseppe, l’amico che si imbarcò insieme a me nell’avventura di venirti a sentire sulle montagne avellinesi. Ce ne fece di nascosto altre due, senza che fossimo in posa: una mentre stavamo chiacchierando e l’altra mentre mi firmavi il tuo libro. Forse sono anche più belle di questa, che però è sempre rimasta con me, mentre quelle due sono in qualche scatolone a casa dei miei genitori.

Era la prima volta che ti ascoltavo dal vivo.
Prima di farlo avevo letteralmente consumato i tuoi dischi (all’epoca soltanto due). 
Ti scrissi una lettera a mano (anni dopo sarebbe diventato il titolo di una tua canzone) indirizzandola alla tua casa discografica, che stava facendo delle cose bellissime. Qualche mese dopo mi arrivò la tua risposta. Oddio, perfino le lettere scritte a mano, davvero una vita fa.
Poi ci evolvemmo, passammo alle mail. Cercavamo di fare in modo che tu venissi a suonare a Lecce, o quantomeno in Puglia, perché ancora non ti era successo di farlo. Le cose andarono diversamente, e infatti ci conoscemmo di persona un annetto dopo,  quando ero ormai una matricola universitaria a Napoli.
Ti avevano invitata a suonare in provincia di Avellino, in una sorta di garage travestito da discoteca: era una di quelle feste liceali che si svolgono centro giorni prima degli esami di maturità.
Che avventura arrivarci: in pullman da Napoli ad Avellino e con l’autostop (sì, l’autostop!) fino a Lacedonia.
Ad offrirci un passaggio fu il tipo che, dopo il tuo live, avrebbe fatto da deejay (o forse all’epoca si diceva ancora disck jockey?) e con il quale, durante la serata, litigai pure.
 Successe quando alcuni ragazzi del pubblico si mostrarono insofferenti alla seconda metà del tuo live, ansiosi di ballare. Anche il deejay fremeva per mettere i dischi e mentre io, temerario, armato di striscione (oddio, ma davvero?) invitavo tutti al silenzio perché volevo ascoltarti, lui, con disprezzo e pentimento mi disse in dialetto qualcosa che, pur indicandomi, sembrava stesse rivolgendo a se stesso: “E dire che a sto stronzo il passaggio per arrivare qui gliel’ho dato io!”.

Ci sarebbero stati altri tuoi dischi, avrei assistito a tanti altri tuoi concerti, e in Puglia saresti poi venuta a suonare senza troppi problemi. La tua voce e la tua musica, già bellissime,  lo sarebbero incredibilmente diventate ancora di più. Io, anche per merito tuo, lentamente avrei trovato il coraggio di cantare, qualche volta, fuori dalla mia cameretta da fuori sede (ormai diventato anche fuori corso). 
E, nell’oltrepassare la soglia di quella stanzetta, mi sarei presentato prendendo in prestito il titolo di una delle tue canzoni più belle, chiedendole la cortesia di starmi accanto e farmi sentire poco poco più sicuro.

Siamo meglio oggi, rispetto a questa foto? Io sicuramente sì. Stavo al primo anno dell’Orientale e, ahimè, si vedeva eccome. Oltre alle bretelle rosse di quello zaino fricchettone, sulle spalle avevo ben altri pesi che nel frattempo, poco alla volta, avrei fatto scivolare per strada.
Ne abbiamo altre di foto insieme, in cui entrambi siamo più fighi. Ma vuoi mettere questa, con l’ansia e la gioia della prima volta? Credo tu avessi la mia età attuale, mentre oggi, cara cuspide nata in giorno di equinozio, ne compi cinquanta. Auguri!

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