Dubbi
che, se mi passo la mano tra i capelli, restano tra le dita.
Li
lascio cadere a terra, ma mi astengo dal gioire se non li vedo più: so già che faranno
un agguato alla mia memoria corta quando li troverò in un angolo, sotto il
letto, coalizzati con la polvere in un unico gomitolo, divertiti dal manico della
scopa con cui invano speravo di sembrare minaccioso.
Dubbi trattenuti tra i
denti sadici del pettine, ostacolati dal filtro del piatto doccia. Li butto nel
water, da cui sale una puzza di dubbi che resta nell’aria.
Dubbi
che, anche se stanchi e spezzati, mi restano aggrappati in testa. Dubbi nuovi,
percettibili solo a un occhio pignolo, che si sporgono dalla fronte per dare
un’occhiata timida a cosa c’è oltre il precipizio.
Dubbi per poco messi in fuga
dal rasoio, pronti a tornare, ripetendo instancabilmente i propri passi, sulla
nuca e dietro le orecchie. Dubbi sedati
da uno shampoo chimico, scaldati dal
phon, la cui consistenza, talvolta, sembra quasi rassicurante al tatto.
Vivo
sempre insieme ai miei “boh!”.
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