Siamo
entrambi soli, seduti a due tavoli diversi della mia amata Scugnizza, una spartanissima trattoria nel cuore dei Vergini.
Domenica piovosa, tarda ora di pranzo, partita del Napoli in corso, con
conseguente clima di calma per le strade.
Ammazza
che occhi grandi che hai, turista. Eppure, il campo visivo che delimitano sembra
piuttosto ristretto: non include molto oltre al tavolo dove siedi. Anzi no,
improvvisamente alzi lo sguardo e col telefono scatti delle foto alle pentole
di rame appese al muro. Peccato tu ti perda tutto ciò che è incluso tra
quest’ultimo e il tuo tavolo, me compreso.
Sarà
complice il fatto che amo questo posto, e che tutte le volte che ci vengo mi
sembra di stare a teatro, ma io, al contrario di te, mi guardo intorno con
curiosità.
Oltre
a te vedo due signore dell’est che mangiano in silenzio, un uomo che si fa la
scarpetta con mezzo crocché di patate e Vincenzo, il figlio undicenne dei
titolari, che, in un inglese improvvisato, del tutto sprovvisto di grammatica
ma ricco di fantasia, cerca di tradurre Pomodorini
del Piennolo a due turisti come te. Chissà di dove sei tu, non ho sentito
il suono della tua voce.
Ho sbagliato tante
volte ormai, dice l’incipit rassegnato di una delle
mie canzoni preferite.
L’ultima
volta che è success è stata pochi minuti fa, quando ho ordinato a Vincenzo
gli spaghetti che, già lo so, mi faranno venire sonno. Almeno sono stato bravo
a non cedere alla tentazione di un quartino di bianco. Tu invece ti tracanni un
rosso frizzante come se fosse acqua.
Che oggi, quasi
certamente, sto sbagliando su di te. Dovevo capire subito
che non fai per me. Forse sei vittima di stitichezza emotiva e, posso
sbagliarmi, ma temo tu non abbia molta fiducia nell’umanità. Sarebbe bastato
osservare il tuo ombrello chiuso, appeso al pomello della sedia. Per carità, ti
avranno detto che noi italiani siamo tutti ladri, specie al sud e ancor di più
a Napoli. Oppure hai permesso al tuo passato di indurirti, alle tue cicatrici
di renderti diffidente.
Sai quanti ombrelli mi sono stati rubati, dopo che li ho lasciati nell’apposito recipiente posto all’ingresso di alcuni luoghi pubblici? Eppure continuo ad avere fiducia nel genere umano, a credere che le persone oneste siano più numerose dei mariuoli. Altrimenti non sarei qui a guardarti, non mi fiderei neppure della mamma di Vincenzo, quando mi assicura che la pasta e fagioli la cucina senza metterci la cotica.
Col rischio di farmi la strada del ritorno sotto l’acqua, il mio ombrello l’ho messo nel secchio vicino alla porta. Non vedi che il tuo sta sgocciolando a terra? Metteremo i piedi nella piccola chiazza d’acqua che sta formando e lasceremo le impronte ovunque.
Sai quanti ombrelli mi sono stati rubati, dopo che li ho lasciati nell’apposito recipiente posto all’ingresso di alcuni luoghi pubblici? Eppure continuo ad avere fiducia nel genere umano, a credere che le persone oneste siano più numerose dei mariuoli. Altrimenti non sarei qui a guardarti, non mi fiderei neppure della mamma di Vincenzo, quando mi assicura che la pasta e fagioli la cucina senza metterci la cotica.
Col rischio di farmi la strada del ritorno sotto l’acqua, il mio ombrello l’ho messo nel secchio vicino alla porta. Non vedi che il tuo sta sgocciolando a terra? Metteremo i piedi nella piccola chiazza d’acqua che sta formando e lasceremo le impronte ovunque.
Ma una volta in più,
che cosa può cambiare, nella vita mia? Non muore nessuno,
mentre fantastico che, una volta usciti da qui, ognuno sotto al proprio
ombrello, ci andremo a mangiare un fiocco di neve da Poppella e ti farò vedere
quant’è bello Palazzo dello Spagnuolo. Domattina sono libero e, se il 140
passa, ti potrei portare al Parco Virgiliano, uno dei posti più romantici che
conosco.
E
poi, chissà, magari nei prossimi mesi vengo da te a ricambiare la visita, che
non so manco di dove sei, ma di dovunque tu sia, ci sarà un Ryanair, un Easyjet
che mi ci porta, no?
Oh
oh, finalmente i nostri sguardi si incontrano. Ma sono pochi secondi. Tu riabbassi
rapidamente il tuo in direzione di ciò che stai mangiando. Potresti continuare
a guardare me, che tanto, manco a farla apposta, in questo momento ho un
fortissimo slancio di empatia verso il baccalà che hai nel piatto. Anzi, a
dirla tutta, mi sento esattamente come lui.
Distolgo
lo sguardo anch’io. Mi ritrovo di fronte un primo piano di Totò appeso al muro.
Il principe, a differenza tua, sostiene lo sguardo. Fisso la sua bocca, senza
capire se nell’angolo soffochi un ghigno di sfottò appena accennato o se il suo
è un sorriso innocuo, benevolo e solidale.
Visto
che ho lasciato l’ombrello all’ingresso e, in generale, dico di avere fiducia
nell’umanità, nel dubbio scelgo la seconda ipotesi.
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